la memoria dei Cinni dei Campo dei Fiori

 

Domenica 27 maggio, inizia la storia raccontando un diario

I Cinni del Campo dei Fiori cominciano a fare sul serio

 

Pubblicato il 19/05/2018

Il colore è quello del melograno e non potrebbe essere diversamente; il luogo è il giardino delle scuole (Elementari) testimone di tanti giochi e primi sguardi; l’accento è quello del cinno emiliano e non ci si può confondere; il respiro è quello della gente di paese che anche se lontana non si sente dispersa; l’occasione (finora) è stata quella di una foto e di un pranzo fra persone che hanno condiviso le pietre di ogni angolo e i sassi tirati delle bande rionali; il momento è, questa volta, qualcosa di più: si inizia a fare sul serio, si comincia una collana di piccoli volumi che racchiudano la memoria di questi piccoli luoghi.

Questa è l’idea: raccontare la storia di questo piccolo mondo fatto di grandi cuori con grandi difficoltà da superare e raccoglierla con pazienza in una collana che, con bellissima illusione, vorrebbe racchiuderla in migliaia di parole. Insufficienti per abbracciare tutte le vite di tutti quegli uomini e donne che io ricordo con efficace malinconia.

Già, perchè anche io sono un cinno del Campo dei Fiori; anche se io appartenevo ad una delle varie bande dell Case Operaie (la più sfigata e poco convincente) ma non partecipando alla vita del bar sono sempre stato considerato una specie di estraneo a cui non piace il calcio, oppure il gioco delle carte, oppure la Ferrari o i motorini da truccare. Quindi ero un po’ al margine.

Il mio mondo di cinno delle Case Operaie era lungo la breve via VI Novembre e di tutti quei tigli (ognuno ha un episodio da raccontare su di me, pensati a quanti ne sanno degli altri) mi ricordo sicuramente la caccia ai lombrichi per poi andare a pescare al piccolo macero che ora è quasi scomparso in via E. Carnevali.

Il nome Campo dei Fiori risale alla memoria dei più anziani; quando ancora non era stata edificata la Scuola Elementare, il giardino antistante e la struttura della Casa del Popolo. Poi l’edificazione della Società Operaia e la relativa crescita delle case circostanti. In epoca successiva, quest’area, veniva chiamata La Rôssia per definire il pensiero prevalente dei loro abitanti, ed era così si respirava utopia e la si aspettava da un giorno all’altro.

Abbiamo il Manifesto (a firma di Ezio) di questa comunità bazzanese e lo pubblichiamo per condividerlo ed invitare anche i cinni delle altra bande: quelli della Piazza, quelli del Paradiso, quelli del Borghetto e quelli di chissà quale appartenenza allegra. Vi aspettiamo.

 

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