La famiglia dell’uomo, attorno al Gigante

Quasi seduto. Vicino al Gigante. Osservo gli uomini e le donne che lo circondano: molti si fermano per farsi una foto, altri gli passano vicino con fretta e pensieri, altri ancora intrattengono i turisti o fanno due chiacchiere; mi chiedo quale mondo ci sia nel loro passaggio. Decido di scoprirne un pezzetto attraverso le fotografie e cercando di fare la loro conoscenza. Immaginate questo articolo come un grande paniere in cui, ogni tanto, vengono messi racconti della umanità attorno al Gigante. Buona lettura.

La domenica di Pasqua

Oggi ci sono molte persone che sembrano impegnate a vedere, rapidamente, il più possibile della città. Non so ancora se ho scelto il giorno giusto per raccontare queste persone attorno al Gigante tanto mi sembrano sfuggenti. Il primo caldo mostra ed evidenzia quello che mia mamma chiama il “momento dei malvestiti”, naturalmente non si riferisce al look ma alla varietà di abbigliamento che può passare dalla maglietta a manica corta a un cappottino con sciarpina ( la scialpina) avvolta attorno al collo in pochi metri quadrati di distanza l’uno dall’altro. E’ in questo momento “malvestito” che mi ritrovo e ho come l’impressione che le persone attorno a me siano completamente coinvolte in questa definizione  e non solo nel loro abbigliamento. Io stesso mi aggiro senza trovare particolari punti di attenzione, davvero ho sbagliato giornata?

Quasi un "Highway 61 revisited". (Ph. Roberto Cerè. 2016)
Quasi un “Highway 61 revisited”. (Ph. Roberto Cerè. 2016)

No, naturalmente, e comincio a parlare con due amiche di un piccolo paese della provincia di Viterbo che si sono concesse un fine settimana a Bologna organizzandosi loro tutto il viaggio. Non perdono occasione per dirmi quanto piaccia questa città e le loro considerazioni cominciano a farmi vedere la giornata in modo diverso. Ci salutiamo, ma prima hanno bisogno di una indicazione: -“Quale strada dobbiamo fare per andare a vedere la casa di Lucio Dalla?”. Bhè, da Piazza Ravegnana le indicazioni sono piuttosto semplici e, nonostante la mia caratteristica provinciale, posso indicare questa loro meta con molta semplicità. Lascio le vie maggiori per entrare nel dedalo delle piccole strade del centro; ad un certo punto mi chiedo da che parte provenga quella musica divertente e la seguo.

Mojito, il funambolo. (Ph. Roberto Cerè. 2016)
Mojito, il funambolo. (Ph. Roberto Cerè. 2016)

Non molto distante scopro la ragione di quel motivetto e lo associo subito ad un motivo circense; già, perchè c’è qualcuno che ha teso una corda fra una grata e un palo segnaletico vicino al portico ed ora ci sta camminando sopra. E’ un funambolo minuto ed agile che sale e scende dal suo palco sospeso e strampalato con grande facilità. Il funambolo si fa aiutare ogni tanto da qualche bambino presente fra la folla e molti di loro si incantano, naso in su e bocca aperta, quando arrivano sotto la sua fune e gli passano i birilli. Fra una piccola esibizione e l’altra chiede di riempire il cappello che si trova poco vicino: – “Naturalmente la richiesta non si rivolge al pubblico turista cinese che ha notoriamente il braccino corto per sostenere le nostre attività”. Mi sorprende la serenità con cui afferma queste parole. Poi passa ad altro e sale il palo da cui si avvia la fune. A fine spettacolo si riposa un po’ e capisco che quello è il momento giusto per presentarmi: – “Ah, sei uno dei pochi fotografi che si presenta, in genere si fermano, fanno una serie di scatti a raffica, ti giri e non ci sono più. Poi, magari, scopri da qualche parte sul web che sei fotografato e nemmeno compare il tuo nome. Compari così, come un funambolo perfetto nessuno”. Parla un ottimo italiano che tradisce solo minimamente l’accento delle sue radici: -“Sono nato a Salonicco, in Grecia, ma ormai non la vedo da tanto tempo; sono sempre in giro per mezza Europa”. Beve. -“Mi chiamo Mojito e sono in strada a fare spettacoli da più di 20 anni; ho imparato questa arte proprio sulla strada, poi ho fatto corsi di approfondimento, piccole scuole e tanti, tanti chilometri fra le strade di Francia, Germania Italia e Spagna, è qui che ho deciso di adottare Mojito come nome d’arte”.

Interno del Palazzo Comunale. (Ph. Roberto Cerè. 2016)
Interno del Palazzo Comunale. (Ph. Roberto Cerè. 2016)

Uno sguardo verso la vecchia serranda verde poi continua: -“Sto facendo uno spettacolo come sempre a mio rischio e pericolo, la situazione per noi funamboli non è facile, non solo per la salute ma soprattutto per la “situazione”; nessuno si prodiga per farci lavorare in città con adeguate autorizzazioni, così, per rendere viva la città ed attrarre turisti, dobbiamo rischiare un teatrino volante, fare una piccola comparsata, smontare tutto poi andarcene. Questo è triste.” La vecchia serranda verde nasconde un segreto: appoggiati a quel ferro colorato ci sono i suoi due figli e la sua compagna che sorridono e scambiano anche loro due parole. Fra un po’ se ne dovranno andare, non possono rischiare più di tanto; far distrarre le persone, divertirle, farle sorridere e stupire dovrebbe meritare una gestione più presente per una città che si racconta di essere aperta al turismo.

Pochi passi e sono di nuovo su via Rizzoli, mi giro, vedo le due torri e, sul lato del marciapiede, una figura minuta (questa volta femminile) è completamente presa dal suo disegno sui lastroni della strada. Ricordo ora che l’avevo notata all’andata e che il suo disegno non era ancora chiaramente comprensibile perchè appena iniziato. Ora pero il disegno ha dei colori ed è più definito, mi avvicino pensando ad un disegno sacro ma così non è: sui lastroni di via Rizzoli fanno capolino due eroi della mia infanzia: Stalio ed Ollio. Non posso non fermarmi.

Dipinge Stalio e Ollio, Feshteh Fatemi. (Ph. Roberto Cerè. 2016)
Dipinge Stalio e Ollio, Feshteh Fatemi. (Ph. Roberto Cerè. 2016)

-” Mi chiamo Feshteh Fatemi, vengo da Teheran in Iran e sto studiando a Bologna, all’Accademia delle Belle Arti”.  Parla mentre continua a disegnare ed ha le mani intrise di ogni colore donato a questo Globo Terracqueo, io non sono sicuro di aver capito bene il suo nome e il sospetto di poterlo scrivere male mi fa chiedere se è possibile che me lo scriva lei, così, per non sbagliare. Lei, con una gentilezza di non questi luoghi, chiede una biro poi comincia a scrivere il suo nome in caratteri maiuscoli, guardo mentre scrive in maniera incerta poi capisco: non deve essere facile scrivere il proprio nome, con le nostre lettere, per una persona araba che si trova in Italia da pochi mesi. Chiedo se è contenta di “abitare” con noi e se la città crea difficoltà per quanto abbia bisogno. Lei risponde di essere contenta e che non ha mai riscontrato problemi di nessun genere. Continua a dipingere e pare incuriosita del fatto di essere al centro di una specie di “intervista” imprevista. Intanto Stalio ed Ollio stanno prendendo sempre più forma e colore. Saluto Feshteh, gli dico che gli invierò alcune foto e mi incammino verso l’autobus.

Roberto Cerè

 

 

 

 

 

 

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Sabato di fine inverno

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Incontri casuali. Piazza Maggiore. Ph Roberto Cerè, 2016.
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La cantante lirica del trenino. Ph Roberto Cerè, 2016.
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Incontri Casuali, Bologna centro. Ph. Roberto Cerè, 2106.

C’è un trenino bianco che parte da Piazza Maggiore e porta i turisti in giro per il centro città. Sabato prossimo avrò un po’ più di tempo e farò un giretto anch’io su quel trenino; intanto mi avvicino per informarmi degli orari delle sue partenze  e vedo che dal finestrino della locomotiva si affaccia un viso allegro, mi preparo a scattare una foto ma la signora si schernisce dicendo che nelle foto non viene mai bene; visto che, con me, è un argomento che non regge io scatto comunque e il rumore del click fa sorridere il mio soggetto poi gli racconto che sto lavorando ad un articolo per la rivista web che si chiama Millecolline  -“Sa che io sono una cantante lirica? Aspetti che una signora vuole fare un biglietto” e dall’ interno della locomotiva sbuca un grosso aggeggio con un manico e con molti tastini colorati che serve a produrre i biglietti per il trenino. Ecco, i biglietti sono pronti e consegnati. –“Sa che ho deciso di riprendere a cantare e che mi sto organizzando per un rientro al bel canto dopo qualche tempo di interruzione?”. Bene. -“Aspetti che c’è qualcuno che ha bisogno di una informazione turistica”. Capisco che il mio intervento è arrivato al termine utile per non distrarre dal lavoro la signora e decido di salutarla e lei, intanto, fa altri biglietti per il trenino.

Un gruppo di amici, con magliette arancioni ed una scritta sulla schiena a ricordare il fatto che, da sposati non si potranno più fare baldorie come quelle, si sta avvicinando al Gigante e sta tracciando un percorso che ha, da tempo, dimenticato la linea retta. Guardando sia le loro facce rubizze che la bandierina stampata davanti alle loro T-shirt  mi ricordo che oggi è una delle giornate della festa irlandese e, di sicuro, questi buontemponi arrivano in piazza da turisti provenendo da quei luoghi. Sono però italiani, di Piacenza, e sono in “baracca” perché uno dei loro amici si sposerà domenica; festeggiano in quel modo il suo addio al celibato, si avvicinano allegri poi si mettono in posa per una foto di gruppo, come se fossero una squadra di calcetto prima della finale del torneo dei bar. Mi chiedo come potrò mettermi d’accordo per mandargli la foto ma loro non ci pensano nemmeno e continuano a scherzare. Uno di loro svela il motivo di quella baldoria: -“Un nostro amico domenica si sposerà e si sposerà con una inglesina. Per questo motivo lo abbiamo portato alla festa celtica di Bologna”.

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Si sposa una inglesina. Ph. Roberto Cerè, 2016.
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Incontri casuali, Bologna centro. Ph Roberto Cerè, 2016.

Guardando meglio vedo che solo uno di loro non è vestito con la maglietta arancione; -“E’ lui che si sposa!” dicono in coro, ed ecco che sbuca, come dal nulla, un ragazzo con la barba folta vestito con un improbabile tubino a gonna corta color turchese acceso e una grande bandiera inglese disegnata sul davanti, barcolla ancor più di tutta la compagnia messa assieme e regale sorrisi a tutti i passanti. Come sono arrivati se ne vanno.

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Cesari, meccanico di motori diesel. Ph. Roberto Cerè, 2016.
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Incontri casuali, Piazza Maggiore. Ph. Roberto Cerè, 2016.

Cesari ha ormai 85 anni e oggi suona la sua armonica sotto l’ombra del Gigante; la suona a modo suo, nel modo che ha imparato, del resto ha lavorato per 60 anni nella sua autofficina dove aggiustava solo motori diesel e solo quelli dei camion, non poteva distrarsi. Il suo è stato un lavoro duro, senza sosta, nemmeno alla domenica perché poteva essere chiamato per far ripartire un camion bloccato chissà dove, i camion erano la sua passione. Poi la pensione e poi la disgrazia (o forse il contrario): Cesari perde la moglie e nei giorni in cui l’assiste si accorge di non aver combinato poi così tanto durante la sua vita, intensa, di meccanico senza tempo per gli affetti. Ora ci sono occhi malinconici e sereni a raccontarlo, con grande semplicità e comprensione dice: -“Io ho imparato da solo a suonare l’armonica, per sentire una compagnia, non conosco la musica ma suono l’armonica perché ne ho bisogno per sentirmi bene”. Parla in modo diretto e senza tanti fronzoli, ogni tanto inserisce una frase in dialetto di città (io sono di campagna e noto la differenza) e lo inserisce assieme a giuste frasi in italiano; è un suono che non ascoltavo da tempo e il risultato è come di una piccola sinfonia umana.  Dopo una pausa mi dice: -“Oggi ho visto che si stava facendo una bella giornata e mi son chiesto cosa ci stavo a fare, da solo, in casa; allora ho preso su la mia armonica e sono uscito, poi ho preso l’autobus per arrivare in Piazza (Maggiore)”. Mentre parliamo si avvicinano due famiglie con delle bambine che si siedono sul bordo della fontana e Cesari le guarda con gli occhi di un nonno che ha appena visto le sue nipotine; a quel punto gli regala una suonatina con l’armonica e le intrattiene con vecchie storie, quelle che solo un nonno può raccontare. Le bambine si interrogano con sguardi stupiti; chi è mai questa persona che dedica tanta attenzione gratuitamente? Anche i loro genitori paiono divertiti e Cesari si trova a suo agio in questa tiepida giornata. Le saluta con un sorriso che sembra una risata e torna a raccontare un po’ della sua storia poi allarga le braccia e dice -“Vedi, alla mia età, cosa vuoi mai che faccia ormai?”. Io penso a mia mamma e a tutti gli anziani ricoverati che ho incontrato al Maggiore, senza un parente che possa andare a scambiare quattro chiacchere con loro, e, pensando a quanto potrebbe fare l’armonica di Cesari gli rispondo: – “Cesari, lei potrebbe fare ancora tantissimo, per tante persone”. Lui si ferma, con le braccia ancora aperte, forse capisce e si commuove per un istante, a quel punto decide di rivelarmi il suo nome e cognome, mai detto prima, nemmeno alla nostra presentazione.

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I colleghi del gourmet emiliano. Ph Roberto Cerè, 2016.

Camminare per i negozi attorno a quello che oggi si chiama Mercato di Mezzo è sempre stato interessante e oggi ci sono molti turisti in queste strette vie. Cammino a caso, -“Facci la foto”, e si mettono in posa; sono due colleghi vestiti con un camice bianco e lavorano in un fornitissimo negozio di specialità gastronomiche emiliane, uno di loro è in pausa pranzo e sta sbucciando una mela, l’altro dopo la foto rientra subito al lavoro. Ci sono molti pacchetti di mortadella sul banco in cui la persona si è scavata un posto per appoggiare le fette i mela e poco più in là non mancano i contenitori di Parmigiano Reggiano. Tanta gente passa accanto e comincia il racconto della mortadella e del leader di mercato che è rimasto tale perché ha saputo reinvestire in macchinari per migliorare la produzione. Continuando a sbucciare la sua mela il mio soggetto racconta alcune cose di quel lavoro che, ormai, fa da tanti anni e l’entusiasmo con cui racconta della mortadella mi fa pensare che sia proprio quel tipico prodotto emiliano a fornirgli la benzina.

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