Andare oltre l’arte per ri-scoprire l’Arte

Dal  Prof. Franchino Falsetti, per la sua rubrica SGUARDI INCROCIATI.

Andare oltre l’arte per ri-scoprire l’Arte

In questi ultimi 3 mesi a Bologna, città assopita e sempre più evanescente, si sono , quasi contemporaneamente, inaugurate tre Mostre di indubbio valore artistico e culturale: a Palazzo Fava : “ Da Cimabue a Morandi. Felsina Pittrice”; presso la Galleria d’Arte Fandantico – Palazzo Pepoli: “Salone della pittura bolognese dall’Ottocento al contemporaneo”;  a Palazzo Albergati : Escher, artista visionario e incisore olandese, una importante retrospettiva di oltre 150 opere.

Tre appuntamenti di alto valore culturale che in un ravvicinato e simultaneo tempo di esposizione possono non essere vissuti nella loro specificità e nei loro significati non solo artistici ma di testimonianze di pensiero e di “scrittura” delle realtà storiche di cui sono espressione.

Ho visitato queste tre intelligenti e problematiche Mostre e ne sono uscito con un forte senso di disagio ed alcuni ripensamenti o critiche considerazioni. Diverse sono, infatti, le motivazioni che concorrono alla definizione di una mostra d’arte : da opportunità di mercato a quella più storica e nostalgica di credere che una esposizione di “quadri” sia la rivelazione dell’anima dell’artista o per lo meno della sua identità creativa. E’, ormai, evidente che l’arte è diventata , formalmente, un business, un investimento globale, con il proprio “borsino” che registra gli andamenti di mercato per la gioia dei collezionisti e galleristi, oltre ai grandi gruppi economici od istituzionali che ne sono, molto spesso, i promotori. E’ vera gloria? Non c’è bisogno di attendere i posteri per esprimere un certo smarrimento. Fiumi di parole si sono scritte sulla finalità dell’arte, su i suoi contenuti e sulle incomprensibili “mutazioni” del XX secolo, che nel 1954 faceva scrivere al critico d’arte e pittore Leonardo Borgese che si domandava se la pittura cosiddetta astratta fosse arte: “ astrattismo, automatismo, dadaismo, spazialismo, nuclearismo, concretismo, ecc… A dispetto di chi riapplica le numerose etichette, la bottiglia e la roba che c’è dentro sono sempre le stesse.

Antonio Basoli, Veduta di P.zza Maggiore, 1830 circa
Antonio Basoli, Veduta di P.zza Maggiore, 1830 circa

Un’estetica  ambiziosa ma povera, puerile e di una monotonia esasperante nei risultati”. Un certo pessimismo o una reale constatazione che ci mostra l’artista non il “Diogene” dei tempi, ma un utile strumento che può facilitare operazioni di marketing per ogni uso e per ogni committenza. Pertanto se l’arte contemporanea ha sviluppato, in modo sconfinante, questa tendenza, di fatto, come ci ricorda Jean Baudrillard, ne ha avviato la propria sparizione. Ma non voglio soffermarmi su queste problematiche, che tratterò in un altro mio prossimo articolo. Quello che,invece, mi preme che le tre Mostre citate abbiano posto diversi interrogativi di richiamo al concetto di arte, al suo senso storico, alla sua aderenza alla realtà, al suo divenire, all’esigenza di autonomia, di libertà creativa, di senso del sublime, della catarsi, dell’irrefrenabile desiderio di libertà. Cioè l’uomo che si fa artista e non l’artista che si fa prodotto, spersonalizzato delle sue idee e del suo ruolo non solo quale interprete ma vate in un mondo fatto di disperazione, di disordine, di abbandono di ogni senso di sicurezza dei valori e dei sentimenti. Una diffusa precarietà dell’esistenza e delle cose che l’uomo ha prodotto e produce. L’effimero è la nuova ideologia e questo ci porta, gradualmente, alla perdita della “memoria” non solo storica ma del nostro essere, della consapevolezza del nostro esistere. L’arte potrebbe sollecitarci a nuove riflessioni. A riportarci a contatto con quella realtà, di cui abbiamo perso ogni concettualità e dimensione.

Giuseppe Gheduzzi, La bottega dell'antiquario
Giuseppe Gheduzzi, La bottega dell’antiquario

E’ opportuno scendere in campo aperto e combattere “ la vertiginosa ascesa del mercato”, che si sta trasformando in una nuova “bolla”, in cui il denaro sarà la vera “carta” d’investimento culturale. E’ opportuno ricordare che tutto questo nasce non dall’arte, ma dalla nuova sociologia della globalizzazione e dalla progettazione di un nuovo stato della società,  che il sociologo Bauman ha definito “sotto assedio”. E l’arte in questo contesto rischia di divenire un inevitabile e strumentale “ostaggio” nella dominante società dei consumi. Tutto questo ci allontana anche dal piacere di frequentare Mostre di grande interesse come quelle della “primavera artistica bolognese” 2015. C’è una certa lontananza tra gli ideali espressi e ciò di cui l’arte oggi ha bisogno. Non è necessario come qualcuno ha scritto che siamo condannati a essere artisti, semmai dobbiamo ripensare il senso dell’arte e, soprattutto, i modi con cui questa deve incontrare il pubblico, il nuovo pubblico del XXI secolo. L’arte non si vede con il manuale della storia o con le didascalie o con gli ambiziosi ed eccentrici cataloghi o con le sofisticate strumentazioni tecnologiche od informatiche. L’arte non è un ideale elenco di strane meraviglie di un divertente ed attraente Luna Park di periferia, è un modo di pensare e di scrivere la realtà, di rappresentarla e di comunicarla. In questo percorso, l’artista ha perso la dimensione della realtà. Il suo rapporto è sempre più schizzofrenico, alterato, privo di ogni indagine ed autonome valutazioni. L’artista ha perso la capacità di vedere intus (dentro) non solo alla realtà ma ai meccanismi che ne hanno deteriorata ogni forma di comprensione critica, poiché deformata o annullata dalla invadente ideologia del “pensiero unico”, del prefabbricato, del livellamento della conoscenza e delle coscienze. Anche in Italia soffriamo di overbooking, un fenomeno di vaste proporzioni, dove l’occasione di un evento artistico o culturale, diventa un appuntamento al supermercato, ad una qualunque opportunità di divertimento, svago, una vetrina di gastronomie.

Escher-
Escher-

Anche a Bologna questo fenomeno si sta registrando e non fa bene al desiderio di vedere che l’arte non è una paninoteca e gli spettatori non devono ubbidire all’accecamento del mercato dell’offerte del tempo libero. Il turismo di massa nei musei, come nelle grandi gallerie d’arte, non educa alla fruizione dei “straordinari” momenti per la propria formazione artistica, ma sono fonti di allarmante invito alla diseducazione ed a coltivare la cultura dell’agglutinazione : tutto si deve consumare senza alcuna distinzione. E questa nuova weltanschauung  mette in stridente contrasto l’arte contemporanea ( definita anche “mostruosa e volgare” ) con l’arte classica e/o moderna , con il rischio di non saperne apprezzare alcun contenuto storico-stilistico o della pura bellezza o della meraviglia creativa . Forse diverrà opportuno, come ci ricordava il grande  Bruno Munari, che dobbiamo “disimparare l’arte per meglio comprenderla”.

 

 Franchino Falsetti